Dal 23 maggio al 28 settembre 2025, la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, nello spazio CAMERA OSCURA dedicato alla fotografia, allestito all’interno del percorso del museo perugino, ospita la mostra “Gianni Berengo Gardin fotografa lo studio di Giorgio Morandi”, a cura di Alessandra Mauro.
L’esposizione raccoglie 21 dei più significativi scatti realizzati da Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, 1930) nel 1993, quando viene chiamato per documentare i luoghi dove ha lavorato il grande pittore emiliano, in occasione dell’apertura a Palazzo d’Accursio a Bologna del Museo Morandi. Prima di smantellare lo studio, era necessario che lo si immortalasse per sempre.
L’obiettivo di uno dei più importanti fotografi del Novecento penetra così negli ambienti dove sono nati i capolavori di Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964), per raccontare la stratificazione di luoghi tanto vissuti, l’usura e la familiarità evidente con quelle stanze che sono state abitate ogni giorno per anni.
Gianni Berengo Gardin entra così nell’intimità di Giorgio Morandi; si ferma sugli oggetti tante volte osservati e ritratti nelle tele. Con attento pudore, il fotografo registra lo spazio del pittore: il cappello lasciato sul letto, il materasso che sembra riportare ancora l’impronta del suo corpo, per proporre un piccolo grande “viaggio in una stanza” che ha la portata di una vera avventura esistenziale. Ma soprattutto Berengo Gardin fissa attraverso l’obiettivo i vasi, le bottiglie, i piatti, le caffettiere e tutte le cose che Morandi ha disposto con sapienza e ordine, prima e dopo averle riprodotte nei suoi quadri. All’interno di CAMERA OSCURA, osserviamo quindi il dietro le quinte del lavoro del maestro, con la possibilità di comprendere ancora meglio il segreto dei suoi dipinti.
“Gianni Berengo Gardin fotografa lo studio di Giorgio Morandi” anche nella sua ‘spazialità’ intende omaggiare l’arte di Berengo Gardin, evocando, nella mente del visitatore, lo studio, il luogo raccolto, intimo, della creazione artistica.
Grazie a due eccezionali prestiti dal Museo Morandi di Bologna – Giorgio Morandi, Natura morta, 1951, olio su tela; Giorgio Morandi, Natura morta con oggetti bianchi su fondo scuro, 1930, incisione all’acquaforte da matrice di rame – l’esposizione perugina crea un inedito confronto tra le immagini di Berengo Gardin, nel loro impeccabile bianco e nero, e i colori delicatissimi di Morandi, che ha trasformato un’ossessione in pura poesia: la documentazione fotografica diventa evocazione poetica, registrazione puntuale di una pratica artistica fatta di misura e contemplazione.
La mostra è realizzata in collaborazione con il Museo Morandi di Bologna, con lo Studio Berengo Gardin di Milano e con il supporto de L’orologio società cooperativa – Business Unit Sistema Museo.
Catalogo Silvana Editoriale.
GIANNI BERENGO GARDIN
“In un testo di qualche anno fa, Sebastião Salgado definì Gianni Berengo Gardin, suo amico di lunga data, “il fotografo dell’uomo”, riconoscendogli quell’empatia particolare, quell’attenzione alla società che ha contraddistinto, in tanti anni di lavoro, lo stile unico e inconfondibile del fotografo italiano. Reportage dopo reportage, storia dopo storia, nel tempo lo stile di Berengo Gardin si è definito con la pratica quotidiana e si è cesellato, per così dire, sulle esigenze narrative che richiede il racconto fotografico.
Nato a Santa Margherita Ligure nel 1930, vissuto tra la costiera, poi a Roma negli anni oscuri della Seconda guerra mondiale e a Venezia nel dopoguerra, proprio in quest’ultima città Gianni Berengo Gardin diventa, quasi contemporaneamente, adulto e fotografo. Mentre gestisce il negozio di vetri di famiglia, scopre la forza della fotografia, il suo linguaggio denso e corposo, il bianco e nero essenziale delle ricognizioni sociali dei grandi autori americani degli anni Trenta. Giovane uomo curioso di tutto, si sente attratto da quella matrice di documentazione visiva così chiara e forte e quel che vuole realizzare sarà una fotografia che interroga, indaga, mostra.” (Alessandra Mauro, nel catalogo della mostra)
Gianni Berengo Gardin nasce a Santa Margherita Ligure nel 1930. Dopo aver vissuto a Roma, Venezia, Lugano e Parigi, nel 1965 si stabilisce a Milano, dove inizia una carriera da professionista, concentrandosi sulla fotografia di reportage, d’indagine sociale, di architettura, di descrizione ambientale.
Collabora con le principali testate italiane ed estere (Il mondo, Domus, Epoca, L’Espresso, Le figaros, Time, Stern), ma si dedica soprattutto ai libri, pubblicando oltre 260 volumi fotografici. Le sue prime foto appaiono nel 1954 sul settimanale Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio, con cui collabora fino al 1965. Dal 1966 al 1983 lavora per il Touring Club Italiano, realizzando un’ampia serie di volumi sull’Italia e sui Paesi europei, e per l’Istituto Geografico De Agostini e numerosi reportage e monografie aziendali per le maggiori industrie italiane (Olivetti, Alfa Romeo, Fiat, IBM, Italsider).
Per circa trent’anni documenta le fasi di costruzione dei progetti architettonici di Renzo Piano.
Il suo lavoro è stato organizzato in oltre 360 mostre personali in Italia e all’estero.
Ha partecipato a Photokina di Colonia, all’Expo di Montreal nel 1967 e all’Expo di Milano nel 2015, alla Biennale di Venezia e alla celebre mostra “The Italian Metamorphosis, 1943-1968” al Guggenheim Museum di New York nel 1994. Con il supporto del FAI, ha esposto a Milano nel 2014 e a Venezia nel 2015 l’importante reportage di denuncia sul passaggio delle Grandi Navi da crociera a Venezia.
Nel 2016 la mostra “Vera fotografia. Reportage, immagini, incontri”, al PalaExpo di Roma, ne ripercorre la lunga carriera attraverso i principali reportage e oltre 250 fotografie.
Nel 2022 il MAXXI di Roma gli dedica l’ampia retrospettiva “L’occhio come mestiere”, accompagnata dall’omonimo volume. Nel 2023 una nuova serie di fotografie è raccolta nella mostra e nel catalogo “Cose mai viste. Fotografie inedite”.
Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti, nel 1990 il Prix Brassaï a Parigi, dove è invitato d’onore al Mois de la Photo; nel 1995 il Leica Oskar Barnack Award ai Rencontres Internationales de la Photographie di Arles.
Nel 2008 il prestigioso Lucie Award alla carriera, già assegnato a Henri Cartier-Bresson, William Klein, Elliott Erwitt; nel 2014 il Premio Kapuściński per il reportage; nel 2017 il Leica Hall of Fame Award.
Le sue immagini fanno parte delle collezioni di importanti musei e fondazioni culturali, tra cui l’Istituto Centrale per la Grafica e il MAXXI di Roma, il MoMA di New York, la Bibliothèque Nationale e la Maison Européenne de la Photographie di Parigi, il Musée de l’Elysée di Losanna, il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid.
GIORGIO MORANDI
Giorgio Morandi (1890–1964) è una delle figure più rilevanti dell’arte italiana del Novecento. Nato e vissuto a Bologna, ha dedicato la propria ricerca artistica alla rappresentazione di soggetti semplici e quotidiani: un universo di bottiglie, vasi, ciotole, scatole, conchiglie e fiori, paesaggi domestici e scorci della campagna emiliana.
Formatosi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, Morandi conosce gli sperimentalismi delle avanguardie, in particolare il futurismo e il cubismo, ma se ne discosta per sviluppare un linguaggio più intimo e contemplativo. A influenzarlo sono Paul Cézanne, André Derain e, prima ancora, i grandi maestri del plasticismo pittorico, da Giotto a Piero della Francesca. Nel corso degli anni Venti è associato alla corrente della Metafisica, accanto a Giorgio de Chirico e Carlo Carrà, nonostante persegua un’inclinazione meno intellettualistica e sostanzialmente legata all’esplorazione del reale.
Per tutta la vita, si dedica al genere della natura morta, procedendo da una lunga e paziente osservazione degli oggetti che lo circondano. Le sue opere sono frutto di un meditato processo compositivo, che indaga prospettive, equilibri, passaggi tonali e dosaggi chiaroscurali. Si struttura così una narrazione visiva profonda, carica di silenzi e rivolta all’essenza delle cose.
CAMERA OSCURA
Il progetto Camera Oscura. La Galleria Nazionale dell’Umbria per la fotografia, a cura di Marina Bon Valsassina e Costanza Neve, si propone di esplorare l’essenza dell’arte fotografica, un mezzo che, sin dalla sua nascita, ha catturato momenti e raccontato storie, diventando una testimonianza della nostra realtà e delle emozioni umane. Il concetto stesso di camera oscura, che risale a secoli prima dell’invenzione della fotografia, rappresenta l’idea di un luogo in cui la luce penetra esclusivamente da un minuscolo foro, creando immagini proiettate su una superficie. Questo processo di rivelazione è il cuore della fotografia: un dialogo tra luce e ombra che dà vita a visioni uniche e personali.
Il progetto offre una nuova chiave di lettura della realtà, illuminando, anche nell’oscurità, sull’arte della fotografia, intesa sia come atto tecnico sia come espressione artistica, per dimostrare, attraverso le fotografie, il fil rouge che collega l’arte del passato al presente. Un’insegna al neon segna l’ingresso a questo spazio ‘segreto’, avvolto in luci soffuse e ombre suggestive. Qui non si trovano tempere, oli, pennelli o collanti, ma si esplorano concetti di tempo, esposizione, profondità e messa a fuoco.