L’Umbria rende omaggio a Mimmo Paladino (Paduli, BN, 1948), una delle figure dell’arte contemporanea italiana più conosciute e apprezzate a livello internazionale, e Paladino rende omaggio all’Umbria, alle sue tradizioni e ai suoi paesaggi straordinari, grazie a una serie di iniziative frutto della collaborazione tra i Musei Nazionali di Perugia-Direzione regionale Musei Nazionali Umbria, il Comune di Perugia e la Fondazione Perugia.
Dall’8 novembre 2025 al 18 gennaio 2026, tre fra le più prestigiose sedi museali del circuito nazionale umbro – la Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia, la Rocca Albornoz di Spoleto e Palazzo Ducale di Gubbio – ospiteranno un’ampia antologica di Mimmo Paladino, curata da Costantino D’Orazio, Direttore dei Musei Nazionali di Perugia, e Aurora Roscini Vitali, storica dell’arte dei Musei Nazionali di Perugia, insieme con l’artista stesso.
Grazie a oltre sessanta opere provenienti da collezioni italiane ed estere, alcune delle quali presentate una sola volta e mai più proposte dall’artista, andrà in scena un racconto storico-critico dell’intero itinerario creativo di Mimmo Paladino che, da un lato, evidenzia la complessità della sua poetica nel corso di oltre cinquant’anni di attività, dagli anni Settanta fino al giorno d’oggi, e dall’altro, restituisce con chiarezza alcuni snodi fondamentali della sua carriera. Il progetto si è avvalso della piena collaborazione del Maestro, che ha messo a disposizione i suoi archivi e partecipato in prima persona alla costruzione del percorso espositivo, nel quale i criteri cronologici e scientifici convivono con accostamenti che intrecciano rigore e suggestione.
Per facilitare la visita, le tre sedi avranno un biglietto unico (al costo di 15 euro), che permetterà al pubblico di ammirare le opere e le installazioni a un prezzo speciale.
La mostra sarà corredata da un libro per i tipi della casa editrice Gli Ori, con contributi di critici e curatori internazionali, come Norman Rosenthal e Rudi Fuchs.
IL PERCORSO ESPOSITIVO
Galleria Nazionale dell’Umbria
All’interno degli spazi della GNU, una parte cospicua della mostra è dedicata ai lavori degli anni Settanta e Ottanta, con una specifica attenzione alle opere di grande formato e alla pittura materica che si serve di incursioni di elementi e materiali estranei alla tradizione pittorica, fino ad invadere lo spazio. Dopo aver ascoltato le parole di Paladino in un video fatto appositamente per la sala immersiva della Galleria, l’apertura della mostra è affidata alla riedizione di un’opera dipinta su parete: Il Brasile, si sa, è un pianeta dipinto sul muro, fatta rivivere dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Perugia.
Nel 1978, dopo il trasferimento a Milano, Paladino aveva realizzato per gli spazi della Galleria Toselli una composizione di forme geometriche coloratissime, presentandosi come un moderno “frescante” e offriva una risposta più che chiara alle pratiche di dematerializzazione dell’opera, alla tendenza verso l’abbandono dei mezzi tradizionali e alla “tirannia dell’idea” che avevano contrassegnato lo scenario artistico degli anni Settanta. La pittura murale, con i suoi timbri squillanti e le sue forme galleggianti, era però destinata a scomparire; e in mostra l’episodio è volutamente documentato come indicativo dei molteplici lavori a vocazione ambientale degli esordi dell’artista.
Il percorso prosegue con un’opera seminale nel percorso di Paladino: Silenzioso (1977, collezione privata), un grande pastello su carta intelata dove l’artista immagina un uomo assopito su un banco mentre dal suo inconscio scaturisce una vera e propria esplosione segnica. Il rimando corre immediato ad alcune installazioni di quel periodo, giocate sull’apparizione inaspettata e sospesa di piccole figure, linee e disegni. A questo ciclo appartiene la tela priva di telaio che Paladino ha esposto una sola volta alla Galleria dell’Ariete di Milano nel 1978, un Senza titolo nel quale compaiono segni che rimandano al suo universo onirico, in un progressivo passaggio dall’arte concettuale alla pittura figurativa. Alle composizioni di ambienti, si ricollega anche la rarissima opera su vetro, Il giardino dei sentieri che si biforcano (1977, Schaufler Foundation, Sindelfingen), interpretazione fragile e dorata dell’omonimo racconto di Jorge Luis Borges, a cui Paladino dedicò una serie di installazioni tra disegno e fotografia, mezzo quest’ultimo progressivamente accantonato.
Nel 1977, Paladino aveva intanto dipinto Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro (Collezione privata, Milano), focus della prima parte di mostra. La tela è considerata al pari di una dichiarazione di intenti, in grado di marcare il corso del secondo Novecento in Italia. In un clima dominato dalle strettoie concettualiste e minimaliste, l’artista sceglie di isolarsi e di “ritornare” lentamente e senza proferire parola all’atto del dipingere. L’opera assurge al grado di manifesto di una nuova temperie culturale, legata alla manualità e all’utilizzo degli strumenti più tradizionali del mestiere. Paladino sente che il proprio mondo formale può vivere muovendosi tra fonti diverse, lasciandosi liberamente ispirare dai modelli di riferimento e ignorando l’esclusione categorica del passato. L’immagine, di sapore vagamente matissiano, venne esposta alla Galleria Giorgio Persano di Torino in quella che è stata definita una camera picta, un insieme di graffiti che il pittore eseguì sul soffitto e a parete, sostanziando la necessità di una pratica interiorizzata in grado di sconfinare, ancora una volta, nello spazio circostante.
Il capolavoro si colloca in un tracciato di quadri di piccolo e medio formato dove l’artista usa con grande libertà il colore ad olio, tracciato che ha come altro esempio, EN DE RE (Collezione privata, Milano), realizzata nello stesso anno per la figlia Ginestra, una piccola cartolina che suggerisce un enigma o un rebus irrisolvibile, mentre resta a metà strada tra dipinto e oggetto reale.
La rinnovata apertura alla pittura ha in Paladino un’articolazione molto complessa, che approda alla fine degli anni Settanta alla realizzazione di vaste campiture monocromatiche, pur giocate su trasparenze, velature e differenti densità. L’artista vi lavora aggiungendo elementi extra-pittorici ai bordi della tela: una maschera in cartapesta e cartone nell’opera Stregato/Stregatto (Collezione privata, Milano); un tondino di ferro recuperato dall’officina di un fabbro in A Napoli dopo gennaio (Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea), presentata da Lucio Amelio nel 1978.
Il debordamento della pittura dai margini della tela e l’utilizzo di materiali quanto mai variegati – aspetti in cui maggiormente si riconosce il legame con la generazione precedente, l’influenza dell’Arte povera e l’incredibile effetto provato dal giovane Paladino al cospetto delle scelte neodada alla Biennale del 1964 – è un aspetto indagato nella seconda parte della mostra: l’uso del ferro ritorto, con qualità disegnative, in Selvatico, Selvaggio (Collezione privata, Ravenna) e A mano calda, granchio fellone (Collezione Emilio e Luisa Marinoni, Lurago Marinone); nelle tele poggiate a terra, come in Tropico (1979, Sammlung FER Collection, Laupheim) e in Selvatico (Galleria In-Arco, Torino); nell’essere filiforme di Con due dita (Nouveau Musée National, Monaco), tracimante in senso tridimensionale; in Lampeggiante (1979, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea), presentata a “Aperto 80”, edizione della Biennale a cura di Achille Bonito Oliva.
Si apre quindi la stagione della Transavanguardia. Nel mondo di Paladino, l’attraversamento della storia artistica, il ritorno alla figurazione e il “nomadismo” rispetto ai modelli culturali si traduce in un’attitudine espressiva sostanzialmente libertaria e nella coniugazione in forma antigerarchica e sincretica dei riferimenti. Nel suo immaginario, denso di presenze, segni e formule ricorsive (come rami, mani, volti, croci e scarpe), approdano il Mediterraneo e l’Africa, i segni italici e i retaggi latinoamericani, l’antico Egitto e il mondo etrusco, le civiltà preromane e l’arte primitiva, il Sannio e la cultura cristiana, finanche le avanguardie del Novecento. Si guardi a opere come Grande cabalista (1981, Collezione privata, Bologna), L’artefice tra il vento e il fuoco minaccia le caverne (1982, Collezione privata, Reggio Emilia), Poema alle porte di Belem (1982, Collezione d’Ercole, Roma) e Le tane di Napoli (1983, Collezione privata, Berlino). In contrasto con il mondo tecnologicamente avanzato e dematerializzato, Paladino predilige sempre la visualità e l’evocazione. Gli oli su tela, di grandissimo formato (Vespero, 1984, Fondazione Cariverona, Verona; Stabat mater, Sammlung Klüser, Monaco di Baviera), compongono una mise en scène occhieggiante a riti, presenze idolatriche e primordialità.
Negli anni Ottanta, l’artista continua ininterrottamente la sperimentazione con gli oggetti, sia in pittura che in scultura (Film 1953, 1985, Collezione Paone-Kiton, Napoli; Film, 1985, Collezione privata, Milano; Senza titolo, Centre national des arts plastiques, Paris). Le prestigiose geometrie della serie Non avrà titolo (Collezione Gian Enzo Sperone, Lugano) rivelano alcuni dei leitmotiv della poetica di Paladino nel corso dei decenni successivi: la presenza della scultura figurale, l’utilizzo dell’oro come elemento di astrazione e di riflessione sul tema dell’icona, l’idea di frammentazione e ricomposizione euritmica del particolare nel tutto, aspetti ancora registrabili nelle opere più recenti.
L’indagine sull’uomo, instancabilmente perseguita da Paladino, trova la sua chiosa nel bellissimo tondo inedito Ni mas, ni menos del 1988 (Collezione Emilio Mazzoli, Modena), posto come cesello e cortocircuito temporale al termine della Sala Podiani.
Il percorso continua idealmente all’interno della collezione permanente della Galleria Nazionale dell’Umbria, con l’opera D’apres Beato Angelico nella Sala 10 della Galleria. In assenza dei pannelli componenti il Polittico Guidalotti, in mostra a Palazzo Strozzi di Firenze, Paladino ha lavorato ancora una volta sul tema dell’icona sacra, della cornice e della tracimazione della materia al di fuori della bidimensionalità (come in Stabat mater e Cuore di Russia, due lavori in prestito dal Mart, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Rovereto). Come un artista del Trecento e del Quattrocento, l’artista esegue con dei vincoli e “su committenza”, mutando in chiave contemporanea le vesti dei santi, i paesaggi della predella e la molteplicità iconografica degli scomparti laterali.
Rocca Albornoz – Museo nazionale del Ducato di Spoleto
Al fine di consentire una restituzione quanto più esaustiva dell’opera di Mimmo Paladino, nell’ottica del rafforzamento della rete museale nazionale dell’Umbria e di dialogo tra le sue differenti sedi, l’antologica prosegue in altri due luoghi: la Rocca Albornoz di Spoleto e il Palazzo Ducale di Gubbio.
A Spoleto domina il tema della scultura. Il Salone d’Onore ospita la commovente installazione Senza titolo (2006), dove il tema delle geometrie appare filtrato da una più forte istanza antropologica ed esistenziale. Gli elementi in alluminio sono i resti derivati dalle sculture lignee utilizzate durante le riprese del film Quijote; una volta bruciati per esigenze di copione, i frammenti sono stati poi fusi e ricollocati in questo nuovo sistema ritmico, altrettanto onirico e drammaturgico.
Nel Salone Antonini, invece, i Dormienti occupano silenziosi tutto lo spazio a loro disposizione, indifferenti ai lacerti di affresco del Maestro delle Palazze e alla grande scritta che campeggia la parete, “Finisce tutto. Finisce”. La prima ideazione del gruppo scultoreo è alla Fonte delle Fate di Poggibonsi, nel 1988, i cui pezzi sono stati successivamente trasformati in bronzo e resi permanenti. Nel 1999, l’installazione conquista i sotterranei della Roundhouse di Londra, uno spazio reso fascinoso dalla sua stessa storia e dall’architettura circolare, con tunnel in mattoni rossi che si dispongono a raggiera. Come “sculture di suoni”, le note di Brian Eno accompagnano la visione delle figure in terracotta, ciascuna chiusa nel proprio sonno. Si ricrea lo stesso accoppiamento suono-immagine, in una dimensione immersiva e avvolgente.
Palazzo Ducale, Gubbio
A Gubbio trovano spazio alcuni lavori particolarmente significativi degli ultimi due decenni. Una scelta piuttosto mirata è stata quella di inserire due opere che prevedono l’utilizzo della carta come supporto: 1799 (2009), i cui fogli con teste e volti sono piegati e incastrati all’interno di una scala, di reminiscenza poverista; 33 canti (2016), che prevede comunque l’incastro dei fogli, ma a comporre una danza di apparizioni umane, tra luce e ombra. Si rimanda così indirettamente anche all’impressionante corpus grafico dell’artista.
L’universo anti-simbolico di Paladino è intatto negli anni, articolando un alfabeto che non rimanda a significati precisi: la presenza di numeri, come una cabala personale (Senza titolo, 2007, Collezione Christian Stein, Milano); l’introduzione dei rami, propaggini leggere e aeree di molte opere (Senza titolo, 2016, Collezione Cardi, Milano); le presenze animali, all’interno di un bestiario fantasioso ed evocativo (le libellule di Mishima, 2021, Collezione privata).
L’antologica chiude con opere realizzate nel 2025: la grande tela risolta quasi in monocromia, dove si ritrovano numeri, teste e rami; le tre “porte”, ovvero tre tele dove la presenza della figura umana, nera su fondo d’oro, si colloca dentro uno schema trilitico in rosso inteso, architettonico e, in qualche modo, “prospettico”. Sulla sua superficie, forme e segni riferiscono della profondità sconfinata dell’universo figurale, materico e cromatico dell’autore.
Perugia, interventi urbani: Concerto in piazza e Luminarie d’artista
A conferma del profondo legame stretto dai musei nazionali umbri con le comunità locali, la mostra di Mimmo Paladino diventa l’occasione per la realizzazione di alcuni interventi urbani inediti, realizzati grazie alla collaborazione tra il Comune di Perugia, la Fondazione Perugia e la Galleria Nazionale dell’Umbria.
Dalla fine di giugno è già installata sulla facciata di Palazzo Baldeschi l’opera Concerto in piazza, ideata dal maestro per vestire il cantiere che interesserà l’edificio della Fondazione Perugia nei prossimi mesi: un omaggio alle tradizioni umbre rivisitate in chiave contemporanea che sta già riscuotendo grande attenzione e un diffuso apprezzamento tra i cittadini e i turisti che visitano la città.
Il telo sarà il motivo ispiratore delle luminarie d’artista che per la prima volta accenderanno Corso Vannucci durante il periodo natalizio. I colori dei segni ideati da Paladino si alterneranno lungo la strada tra Piazza della Repubblica e Piazza IV Novembre, per comunicare l’attitudine festosa e al contempo fiera che caratterizza la comunità umbra attraverso lo sguardo di uno degli artisti italiani più apprezzati al mondo.
Il libro
Per l’occasione, sarà pubblicato un libro che illustrerà tutte le mostre e gli interventi urbani, grazie anche ai testi dei curatori e di alcune personalità internazionali, come Norman Rosenthal e Rudi Fuchs oltre a una intervista a Paladino a cura di Laura Smith, direttrice delle collezioni e delle mostre presso The Hepworth Wakefield (Yorkshire).